Principi ribaditi da tre recenti pronunce della Cassazione (n. 8390/2019, n. 4804/2019 e n. 428/2019)

Il comportamento estraneo alle vicende lavorative può incidere sul rapporto di lavoro, se fa venir meno la fiducia riposta dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore.

Le condotte di detenzione e di spaccio di sostanze stupefacenti costituiscono, almeno in astratto, giusta causa di licenziamento. Sono condotte che, oltre ad avere una rilevanza penale, sono contrarie alle norme dell’etica e del vivere civile comuni e che, dunque, in quanto tali, hanno un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto di lavoro. La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con Ordinanza n. 4804 pubblicata il 19.02.2019, ha stabilito che lo spaccio di droga, anche fuori dall’ambito lavorativo, rientra tra le condotte riconducibili alla fattispecie del recesso per giusta causa previsto dall’art. 2119 c.c., ritenendo che possa ledere l’elemento fiduciario del rapporto, anche senza investire direttamente l’esecuzione della prestazione lavorativa.
Anche per i fatti verificatesi prima dell’instaurazione del rapporto di lavoro è ammissibile il licenziamento per giusta causa, sempre che si tratti di condotte conosciute dal datore dopo la conclusione del contratto e che violino il rapporto fiduciario instauratosi, in quanto incompatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate al dipendente. Il principio di diritto è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con Sentenza n. 428 del 10.01.2019.

In un’altro differente vicenda, invece, la Corte di Cassazione ha ritenuto non rilevante, ai fini della lesione del vincolo fiduciario, la condanna del lavoratore in sede penale per minaccia grave, rivolta, al di fuori del contesto di lavoro, a soggetti estranei all’ambito lavorativo. In questo caso la Corte, pronunciandosi con Ordinanza n. 8390 del 26.03.2019, ha ritenuto illegittimo il licenziamento del lavoratore, fondato su tale presupposto, riconoscendogli il diritto alla reintegra. Per la Cassazione, la minaccia pronunciata fuori dall’ambiente lavorativo e nei confronti di soggetti estranei ha una valenza diversa, nell’accertamento della lesione irreparabile del vincolo fiduciario, rispetto a quella proferita nei confronti del datore di lavoro o in ambito lavorativo, perché non incide intrinsecamente sugli obblighi di collaborazione, fedeltà e subordinazione cui è tenuto il dipendente nei confronti di un suo superiore